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Helena SERAŽIN
 
Le sculture di Pietro Baratta dell'altar maggiore del Duomo di Gorizia
 
L'altare maggiore del Duomo di Gorizia, privo a seguito della Prima Guerra Mondiale delle due porte laterali, rappresenta il tipo d'altare a tabernacolo di derivazione longheniana con angeli adoranti, affiancati in questo caso anche dalle statue dei santi patroni Ilario e Taziano. L'altare venne previsto nel corso dei lavori di rinnovo dell'allora chiesa parrocchiale promossi dall'arcidiacono Giambattista Crisai (1668–1702). L'origine del nuovo altare va però individuata nel mutamento del patrocinio: l'altare, inizialmente dedicato ai due santi sopra menzionati, venne consacrato a san Vito in seguito al beneficio istituito da Vito Gullin (1612–87) e amministrato dal nipote Vito Vincenzo Spira (1652–1705).
 
Secondo quanto riportato dal Cossar il nuovo altar maggiore fu commissionato a Giovanni (†1697) e Leonardo (†1697) Pacassi e fu completato col tabernacolo eseguito dal figlio di quest'ultimo Giovanni Stefano. Dalle spese registrate nei libri contabili possiamo dedurre che nel 1701 si provvide a smontare il vecchio altare, mentre nell'anno successivo il nuovo altare era stato completato sino all'altezza della mensa. Alla morte di Leonardo Pacassi fu probabilimente la vedova Lucia a sovrintendere i lavori seguendo i progetti redatti in precedenza, ma la costruzione s'interruppe nel 1702 con la morte del Crisai e riprese solo a distanza di tre anni quando evidentemente il patronato passò allo Spira. Forse fu questo prete educato a Venezia a richiedere un nuovo progetto per un altare a tabernacolo e a scegliere un nuovo esecutore. In ogni caso la nuova commissione venne assegnata prima della sua morte sopraggiunta il 30 aprile 1705 se il conto delle spese di trasporto di tre sculture da Venezia è datato al 12 novembre dello stesso anno, quindi a poco più di sei mesi di distanza. Le tre sculture in questione vanno identificate nei due Angeli adoranti e verosimilmente nel Risorto che orna la sommità della cupola del tabernacolo.
 
Il 20 agosto del 1705 il nuovo arcidiacono conte Filippo Strassoldo concluse un contratto con Lucia e Giovanni Pacassi per il tabernacolo marmoreo, da consegnare entro un anno. Giovanni iniziò l'opera dopo il 29 settembre dello stesso anno quando gli furono pagati i primi 100 ongari del lascito Spira destinato all'erezione del nuovo altare. Il progetto di Giovanni riprendeva il modello d'altare a tabernacolo molto diffuso allora in Friuli che prevedeva una coppia di angeli adoranti e il dipinto del santo patrono affisso dietro l'altare sulla parete di fondo del presbiterio. A Gorizia venne cose affrescata la Gloria di san Vito, il nuovo patrono dell'altar maggiore, tra le prime opere del pittore goriziano Antonio Paroli (1688–1768) probabilmente all'epoca del suo ritorno da Venezia e quindi purtroppo in un periodo non documentato della sua attività. Il tabernacolo fu invece consegnato con quasi un anno di ritardo il 16 febbraio 1707 e montato cinque giorni dopo dal capo mastro Giovanni Torre, che gir due anni prima aveva provveduto a sistemare sulla mensa gli Angeli. Le portelle del tabernacolo furono pagate il 27 aprile 1707 all'orefice Giovanni Battista Manneti, mentre la serratura fu pagata il 19 luglio al fabbro Matteo Herzog. Giovanni Pacassi ricevette il saldo del lavoro il 6 luglio 1707 e nello stesso documento il maestro conferma di aver ricevuto 100 ongari, altri 500 fiorini e 330 lire consegnate a suo nome ad uno scultore a Venezia. Da ciò possiamo dedurre che anche le altre sculture di piccolo formato, che coronano il tabernacolo, furono ordinate in una bottega veneziana, forse nella stessa dalla quale uscirono le tre sculture sopracitate. A seguito del parere espresso dalla commissione giudicatrice, formata da Pasquale Lazzarini e Gianbattista Toffoletti, Giovanni ricevette un'ulteriore ricompensa l'11 ottobre dello stesso anno. Tre anni dopo furono ordinate anche le statue dei due santi patroni Ilario e Taziano, che completarono cose l'altar maggiore.
 
Il conto delle spese di trasporto delle tre sculture da Venezia riporta anche il nome del loro autore che non è nessuno dei membri delle famiglie Pacassi e Zuliani, ai quali la letteratura specialistica aveva in vario modo attribuito le sculture: si tratta infatti dello scultore veneziano di origine carrarese Pietro Baratta (1668-1729). Che le sculture goriziane siano effettivamente uscite dalla bottega barattiana risulta chiaro dal confronto stilistico tra gli Angeli adoranti con quelli dell'altare della Madonna nel monastero di Follina (1700) e con il quasi coevo Angelo di Fratta Polesine (1704). Anche i Santi Ilario e Taziano, scolpiti nel 1710, paiono essere a tutti gli effetti opera della stessa bottega giusti i confronti con le quasi coeve statue di San Giovanni Battista e San Pietro sull'altar maggiore della chiesa di Santa Maria dei Battuti, firmate dal Baratta, o, ancora, con le opere veneziane posteriori al soggiorno romano quali il Sant'Agostino (1720) a Santa Stae e il Sant'Ignazio di Loyola della chiesa dei gesuiti. Pur se Pietro Baratta è giustamente famoso sopratutto per le opere veneziane, tra le quali primeggiano le sculture per il Monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo, e per le commissioni della corte dello zar Pietro il Grande, non vanno sottovalutate le ordinazioni che riceveva anche dal Friuli, basti la menzione del già ricordato altare nella chiesa dei Battuti o la commissione dei Manin per il Duomo di Udine, e i contatti che evidentemente intratteneva con le limitrofe terre goriziane. Per il momento rimane sospesa la questione se le sculture goriziane siano state ordinate dalla bottega del Pacassi o se si tratti di una commissione di Vito Vincenzo Spira; preme piuttosto rilevare il fatto che le sculture destinate ad un altare fortemente rappresentativo furono ordinate a Venezia, centro pienamente affermato di produzione scultorea, e che il ricorso a tali ordinazioni era prassi abitualmente seguita dalle botteghe scultoree goriziane.